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Ninja Hunter, Titolo strambo, lo so uu

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-NihalShan-
view post Posted on 13/7/2012, 12:15     +1   -1




Ahah ho deciso di pubblicare un'altra fan fiction :ok:
Sì, il titolo è strano, ma visto che c'entrano sia i ninja che gli Hunter ho deciso di chiamarla così ù__ù (?)
Non è molto bella :alone: tuttavia spero vi piaccia :^-^:

1. La decisione di Miiko



Miiko correva senza voltarsi, veloce. I suoi lunghi capelli castani sventolavano nell’aria. Aveva il fiatone e non sapeva di preciso da quanto correva, o meglio, scappava. Sapeva solo che era in marcia da molti minuti ormai. Era dotata di grande resistenza, grazie al suo addestramento da ninja.
Fuggiva dal suo villaggio, da ciò che aveva appena commesso. Si sentiva sporca, sulle mani aveva ancora il sangue dell’uomo che aveva ucciso. Il suo odore acre le impregnava le narici, causandole un senso di nausea. Sangue. Ecco da cosa era caratterizzata la vita degli uomini. Sangue versato inutilmente.
Miiko arrivò nei pressi di un boschetto. Si fermò, mettendosi con le mani sulle ginocchia. Le mancava il fiato e le doleva la milza per il troppo correre. Non aveva mai percorso una distanza grande come quella.
Camminando si avvicinò a un albero e si sedette, poggiando la schiena contro il tronco. Il suo petto si muoveva su e giù velocemente a causa del fiatone. Miiko provò a calmarsi, facendo dei respiri profondi. Chiuse gli occhi e dopo un attimo riuscì a tranquillizzarsi. Aprì gli occhi. Era tutto buio, si vedeva poco o niente. Le tenebre erano calate ormai da un pezzo. Sbuffò. Amava il buio, ma in quel momento avrebbe dovuto tenere i sensi all’erta, per non rischiare di finire ammazzata. Nonostante ciò, la stanchezza si faceva sentire. Decise di concedersi un po’ di meritato di riposo e si sdraiò. Aveva il sonno leggero e, se qualcuno fosse arrivato, lo avrebbe sentito, grazie anche al suo udito ben sviluppato.
Il sonno prese il sopravvento e lei si trovò in buio più intenso di quello che era calato sul mondo.

Miiko era una giovane ragazza, cresciuta in un villaggio vicino al mare. Era bassina e aveva i capelli castani con varie sfumature. Il suo era un carattere estroverso, spesso anche troppo.
Era sempre stata affascinata da combattimenti e simili. Il suo sogno era diventare una guerriera. Una ninja, per la precisione.
Iniziò il suo addestramento ad appena cinque anni, alla scuola ninja del suo villaggio. Sua madre non era convinta della sua scelta e neanche suo padre, anche se era contento che la figlia volesse seguire le orme paterne. Kaito era un ninja, uno dei migliori del villaggio. Viveva per combattere, per difendere le persone che amava. Nel profondo del suo animo, sperava che anche Miiko volesse diventare come lui. Quando la bambina gli aveva annunciato che aveva intenzione di diventare ninja, si era sentito orgoglioso. Orgoglioso di quello scricciolo combina guai che aveva per figlia. Decise che, oltre alle lezioni a scuola, sarebbe stato opportuno insegnarle qualcosa anche a casa.
Miiko crebbe con un ideale preciso: combattere, difendere la gente. Voleva essere come suo padre e anche meglio. Era lui il suo mito: quell’omone dalle spalle larghe, che le somigliava tantissimo. Lo seguiva nei suoi allenamenti. Amava guardarlo esercitarsi, era una specie di hobby. Ogni volta che lo osservava imparava qualcosa di nuovo: una mossa, una finta per distrarre l’avversario o un modo per colpire ai punti vitali. Non voleva uccidere, però. Sapeva che un ninja doveva anche ammazzare le persone, ma lei non voleva. Aveva paura di sporcarsi le mani di sangue, paura della “punizione divina”, così la chiamava Kaito.
La giovane combattente divenne ninja a tutti gli effetti ad appena dodici anni. Il padre era felice, tanto che organizzò una festa in suo onore.
«Ora sei una ninja. Sono fiero di te» le disse quella sera, mentre erano seduti in giardino ad ammirare le stelle. Miiko fece una risatina contenta.
«Papino, io voglio essere come te!» esclamò entusiasta. Kaito le mise un braccio intorno alle spalle e la strinse a sé, affettuoso come solo un padre sa essere.
«Sei cresciuta. Ricordati una cosa, è fondamentale per quelli come noi. Quando combatti…»
«… pensa sempre alle persone che ami cosicché ti diano la forza» completò per lui Miiko con voce cantilenante. Kaito rise e le arruffò i capelli.
«Sarai una grande ninja, me lo sento».

Miiko aveva quindici anni, quando scappò dal villaggio e quando successe il disastro.
Era sul balcone della sua camera e guardava le stelle. Sembravano dei puntini fatti con la tempera gialla su una tela blu. Le piaceva immaginarle così.
Mente era assorta nei suoi pensieri udì delle voci che discutevano al piano di sotto. Non aveva una bella sensazione. Si alzò e andò nella sua stanza. Prese in mano la sua katana, la bellissima katana che le aveva regalato Kaito per i suoi quindici anni, e scese le scale. Si diresse in cucina e si posizionò fuori dalla porta, origliando.
«Fatti ammazzare e non faremo del male a tua moglie» disse una voce maschile e profonda. Miiko, allarmata, aprì la porta, quel tanto che bastò per vedere la scena. C’erano due uomini vestiti di nero. Avevano i cappucci in testa, per cui la giovane ninja non li vide in volto. Uno di essi teneva sua madre e le puntava un kunai alla gola. L’altro minacciava suo padre con una katana.
Miiko aveva paura, sentiva un vuoto allo stomaco e mille domande le frullavano in testa: chi erano quei due? Ma soprattutto, perché erano a casa sua?
Voleva entrare e difendere i suoi genitori, ma sapeva che, probabilmente, se avesse fatto irruzione nella stanza, i due uomini in nero avrebbero fatto del male alla sua mamma e al suo papà. Decise di intervenire in caso di estremo bisogno.
D’un tratto, mentre pensava a cosa fare, udì un tonfo. Guardò oltre lo spiraglio e ciò che vide le fece provare rabbia, una rabbia immensa. Le sembrava che dentro il suo corpo di fosse acceso un fuoco che le bruciava le viscere. Sua madre era a terra, distesa a pancia in su. Aveva gli occhi sbarrati e sulla gola si distingueva un lungo taglio rosso, dal quale sgorgava del sangue.
«Riiko!» urlò Kaito avvicinandosi al cadavere della moglie. «L’avete uccisa, bastardi!» continuò ad urlare buttandosi sui due uomini. Miiko guardava le scena da fuori. Le lacrime avevano iniziato a rigarle le guance e scorrevano impetuose. Il fuoco che aveva in corpo continuava ad ardere. Sua madre, la sua mamma, la donna a cui voleva più bene al mondo, era stata uccisa da due sconosciuti venuti chissà da dove. In quel momento, la ragazza decise di intervenire e di aiutare suo padre. Non voleva perdere anche lui. Con la katana in mano irruppe nella piccola cucina e si lanciò contro i due assalitori.
«Miiko, che cosa fai? Stai ferma, ti faranno del ma…», le parole di Kaito si bloccarono, quando uno dei due uomini gli ficcò la katana piantata nel cuore. L’uomo cadde a terra, gli occhi sbarrati e una smorfia di dolore.
«Papà!» urlò Miiko. Poi girò lo sguardo verso gli sconosciuti. Sentiva che il fuoco ardeva ancora di più. Smise di pensare e si lasciò guidare solo dall’istinto e dalla furia omicida che sentiva dentro. Si buttò contro l’assassino di suo padre e iniziò a lottare. Gli tirò un fendente dritto al polso, che gli fece volare via di mano la spada. Fatto questo infilzò la katana nel suo petto. L’uomo cadde a terra senza neanche un lamento.
Miiko si voltò verso l’altro, quello che aveva ucciso sua madre, ma rimase sorpresa nel constatare che non c’era più. Era scappato. La ragazza sentiva una voce dentro di sé che le ordinava di scappare. Si guardò intorno. Nella cucina, a terra, c’erano i cadaveri dei suoi genitori e dell’uomo che aveva appena ammazzato. Sentì gli occhi che le ribollivano e le lacrime che iniziavano ad uscire. I suoi genitori erano morti. Kaito e Riiko non c’erano più. Si avvicinò al cadavere della madre e le chiuse gli occhi, ma quando staccò la mano dal suo volto, si accorse di averla sporcata di sangue. Osservò le sue mani. Il sangue dell’uomo che aveva appena ucciso aveva fatto diventare le sue mani rosse. Miiko sentì un conato di vomito salirle dallo stomaco. La voce dentro di lei continuava a dirle di scappare. Si guardò intorno. Doveva abbandonare quella casa. Probabilmente l’uomo che era scappato le avrebbe dato la caccia. Prese il suo equipaggiamento da ninja e corse via, nella notte.


Miiko si svegliò con l’arrivo dell’alba. Si alzò lentamente dal suo giaciglio improvvisato, stiracchiandosi. Si guardò le mani. Il sangue dell’uomo che aveva ucciso era ormai seccato. Fece una smorfia. Doveva lavarsi, non sopportava più la vista di quella sostanza vermiglia. Si incamminò all’interno del bosco. Dopo qualche minuto di cammino sentì un rumore: acqua corrente. Si avvicinò dove proveniva il rumore e trovò un torrente. Si inginocchiò sulla sponda e immerse le mani nell’acqua, sfregandole. Il sangue si tolse e Miiko si sentì, in un certo senso, pulita.

Il bosco non era grandissimo e, dopo poco tempo di cammino, Miiko uscì e percorse un sentiero che conduceva in un villaggio. Per le vie c’era molta gente: donne e uomini che chiacchieravano, bambini che giocavano e che passeggiavano con i genitori. A quella vista, il cuore di Miiko si strinse. Abbassò lo sguardo per nascondere una lacrima che le stava uscendo dall’angolo dell’occhio. Se l’asciugò violentemente. Un ninja non piange mai, un ninja non piange mai, ripeté mentalmente. Alzò nuovamente lo sguardo e si guardò intorno. La sua attenzione fu catturata da un volantino che troneggiava sul muro di una casa. Andò vicino ad esso per leggere cosa c’era scritto: “Gli esami per diventare Hunter inizieranno tra poco! Vuoi partecipare? Iscriviti!”
Hunter. Quella parola non le era nuova. Kaito le aveva parlato degli Hunter. Suo zio Sousuke era un Hunter, lo sapeva nonostante non lo avesse mai visto. In quel momento un folle pensiero attraversò la testa di Miiko: voleva partecipare a quell’esame.
 
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